• 02/12/2023

Ferrari, Business Angel dell’Anno 2022

 Ferrari, Business Angel dell’Anno 2022

Mauro Ferrari

In occasione del Premio Business Angel dell’Anno 2023, di cui Piemonte Economy è media partner, abbiamo intervistato Mauro Ferrari, vincitore del premio nel 2022 e presidente  di giuria di quest’anno

 

«Ad un certo punto ho pensato che l’andare in pensione non facesse per me e quindi ho trovato una strada alternativa: con l’idea del cosiddetto “give back” ho deciso di diventare Business Angel e sono entrato nel Club degli Investitori di Torino».

Mauro Ferrari racconta così la sua decisione, che lo ha portato nel 2022 a vincere il premio di Miglior Business Angel d’Italia, grazie alle numerose storie di successo che hanno costellato il suo percorso: da Directa Plus a D-Orbit, a Newcleo, a Satispay, a Genenta che è diventata la prima società italiana del biotech quotata al NASDAQ di N.Y.

Mercoledì 27 settembre alle OGR, Ferrari vestirà i panni del presidente di giuria per l’assegnazione del Premio Business Angel dell’Anno 2023, organizzato nell’ambito della kermesse per l’innovazione Italian Tech Week.

Prima di diventare Angel, Mauro Ferrari è stato manager, quindi imprenditore, startupper ante litteram.

PIEMONTE ECONOMY - Ferrari, Business Angel dell’Anno 2022

Come ha maturato la scelta di diventare imprenditore?

«Ho iniziato come manager anche perché non avevo i capitali per fare altro. Poi sono stato fortunato, a 27 anni ero già dirigente e non ero un figlio di papà. Ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada la famiglia De Benedetti e con loro sono cresciuto molto. A un certo punto ho capito che potevo mettermi in proprio, iniziare una mia avventura imprenditoriale e ho fondato la mia azienda, la Vallko, produttore di tetti apribili.

A metà anni Novanta l’ho poi ceduta ai tedeschi della Webasto e sono rimasto come ceo prima e, al momento della pensione, come vicepresidente. Incarico che ricopro ancora, a dimostrazione della solidità del rapporto di fiducia con il gruppo tedesco».

All’epoca non si usava come definizione, ma si può dire che lei è stato uno startupper?

«Direi di sì, in fondo ho creato qualcosa che non esisteva in Italia, partendo dal green field. Ho pensato che i tettucci apribili potessero avere un futuro e avevo visto che in Italia non c’era concorrenza. Poi ho capito perché, c’era poco mercato, così mi sono subito aperto al mercato internazionale. E da buono startupper, all’inizio con la mia azienda non mi pagavo lo stipendio, così ho continuato in parallelo a occuparmi della ristrutturazione di aziende, come facevo con De Benedetti».

Come è cambiato il mondo delle start up dagli anni Ottanta a oggi?

«Allora non era necessario innovare a ogni costo, l’evoluzione era meno rapida. Oggi se non sforni prodotti nuovi non hai futuro. Però, se hai delle buone idee, le aziende sono portate ad ascoltarle e a investire perché sta diventando sempre più conveniente guardare all’esterno per innovare, si risparmia tempo e denaro ed è più facile trovare una buona idea tra migliaia di teste, piuttosto che limitarsi alle risorse disponibili all’interno di un’azienda».

Da investitore come si sceglie l’idea giusta su cui puntare?

«È fondamentale l’elemento umano. Certo, ci vuole un buon progetto, ma se il team non è credibile difficilmente sarà in grado di realizzare il progetto. E allora, anche se l’idea è bellissima non bisogna investire, in quei casi speri che arrivi qualcun altro con un’idea simile, ma un team migliore. Poi ci si affina con l’esperienza.

Come Club degli Investitori esaminiamo un migliaio di progetti ogni anno, tra questi ne presentiamo una trentina ai Soci durante l’Investor Day mensile e ne finanziamo circa una quindicina, c’è una grande selezione.

Un altro elemento importante è capire se hanno già prospettive per raccogliere i capitali necessari alla crescita. Io, come Angel cerco di aiutarli anche in questo percorso, mettendo a disposizione la mia esperienza. L’obiettivo finale non è restare a lungo all’interno, ma uscire in tempi brevi e potersi dedicare ad altri progetti».

Qual è lo stato di salute del Venture Capital in Italia?

«Fino allo scorso anno stava crescendo in modo molto rapido, pur essendo numeri ancora marginali rispetto ai mercati che contano. Quest’anno ha avuto un rallentamento e lo si vede dalle valutazioni delle aziende, che si sono ridimensionate significativamente. Ma rimane sano ed è pronto a ripartire».

Il premio può rappresentare un incentivo e giocare un ruolo nella crescita del sistema?

«Il fatto di ottenere un riconoscimento dall’esterno, da una giuria composita di esperti, è ovviamente motivo di soddisfazione. È un riconoscimento dello sforzo e dei sacrifici che si fanno per sostenere l’ecosistema dell’innovazione. Quindi può certamente rappresentare anche uno stimolo a continuare a impegnarsi per tutti i Business Angels, che facciano parte o meno di un Club dedicato».

 

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Luca Indemini

Giornalista specializzato in tecnologia e innovazione

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