Golosità dal 1885: innovazione fa rima con tradizione
Una storia di innovazione ed eccellenza dolciaria, quella di Golosità dal 1885, nata dall’intuizione di utilizzare le nocciole nel torrone. Ce ne parla Matteo Rossi Sebaste, AD dell’azienda
Come nasce la vostra azienda di famiglia? E qual è la sua storia?
«La nostra azienda è nata da un doppio rinnovamento. Il mio trisavolo da parte di madre, Giuseppe Sebaste detto Pepè, non potendo permettersi le mandorle che arrivavano dal sud Italia e volendo aumentare i guadagni e rendere il torrone accessibile alla maggior parte delle persone, realizzò due innovazioni: una di prodotto e una di distribuzione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, fece di necessità virtù e sostituì le mandorle con le nocciole, che qua crescevano selvatiche. Sul fronte della distribuzione, si chiese come poteva vendere i suoi dolci in una realtà povera e contadina. Pensò a quale fosse il momento in cui la gente aveva più disponibilità economica e intuì che quel momento fosse durante le fiere.
Nelle Langhe, ogni paese ha la sua fiera che corrisponde al periodo successivo alla vendemmia o alla mietitura del grano. In quel momento le persone, avendo appena ricevuto il salario, avevano disponibilità economica per acquistare un bene superfluo come poteva essere un dolce. Questa innovazione di prodotto, insieme all’innovazione di distribuzione, ha permesso di mandare avanti l’azienda nelle prime battute».
Rispetto al passato c’è stata un’evoluzione nel modo di realizzare dolci? Quanto incidono le nuove tecnologie sulle vostre preparazioni?
«Il mio bisnonno Oscar passò dal laboratorio alle prime automazioni industriali, ampliando la gamma dei prodotti, aggiungendo il torrone ricoperto di cioccolato, i tartufi dolci e altro. Poi mio nonno, nel 1988, creò lo stabilimento in cui attualmente si trova l’azienda, a Grinzane Cavour.
Si tratta di uno stabilimento impostato con una logica che noi definiamo di “artigiani evoluti”: conserviamo una produzione artigianale nei quattro reparti dove si lavora la materia prima (la tostatura delle nocciole, la cottura del torrone, l’impasto dei tartufi e la nuova linea di cioccolato).
Per produrre il torrone non abbiamo un unico impianto industriale, ma 36 caldaie torroniere: cuociamo il torrone ancora come farebbe un pasticcere nel suo retrobottega. L’automazione arriva, poi, nel processo di lavorazione, taglio e packaging, dove la tecnologia naturalmente ci aiuta molto.
I macchinari che abbiamo introdotto negli anni sono stati progettati ad hoc per i nostri prodotti e per realizzare il processo artigianale di cui andiamo molto fieri.
Uno dei nostri concetti è “macchinari e persone si adattano al prodotto e mai il contrario” perché, se adatto il prodotto al macchinario, allora vado a snaturarlo, mentre se vogliamo mantenere il prodotto artigianale, ma con volumi industriali, dobbiamo ingegnarci e fare qualcosa di diverso. Grazie ai nostri fornitori e al loro know-how, abbiamo realizzato dei macchinari che sono unici. Da un punto di vista innovativo, tecnicamente parlando, sono macchinari fuori standard».
Nel corso degli anni, siete riusciti a introdurre piccole rivoluzioni, producendo specialità controcorrente diventate poi capisaldi della vostra produzione. Può citare la più importante?
«Sicuramente uno dei prodotti più rappresentativi in questo senso è il tartufo dolce, un prodotto che in origine nasceva come recupero degli scarti di produzione. Le nocciole che venivano rotte durante il processo di lavorazione e non potevano essere utilizzate per il torrone, venivano trasformate in un altro semilavorato, la pasta di nocciola.
Questa, aggiunta alle briciole del taglio del torrone e al cioccolato, creava un impasto con una massa morbida simile a quella di un tartufo – da qui il nome. L’impasto veniva poi lavorato, passato nel cacao di copertura e venduto sfuso.
Negli anni ‘90, per intuizione di mio padre, abbiamo iniziato a “vestire” i nostri tartufi con dei fiocchi, rendendoli più eleganti e nobilitando il prodotto. All’inizio avevamo due ricette: una bianca e una nera. Oggi abbiamo diciassette ricette in gamma, con il marchio gourmet Antica Torroneria Piemontese.
Abbiamo, di fatto, innovato un prodotto tradizionale, senza uscire dagli schemi di quella che è la storia dei nostri gusti. Inoltre, l’utilizzo del cioccolato ci ha permesso di aumentare le nostre quote export, in quanto ingrediente molto più internazionale del torrone che, invece, è molto legato alle tradizioni locali».
La nocciola piemontese è stata un simbolo di innovazione nella preparazione dei vostri prodotti. È così importante che, nel 2022, le avete dedicato un’opera d’arte in un luogo speciale chiamato il “Belvedere di PePÈ”.
«Il noccioleto su cui sorge l’opera intitolata La Nocciola è stato acquisito dal mio trisavolo nel 1935 dalla allora Marchesa di Grinzane. Il terreno si trova in un’area che di fatto è a forma di anfiteatro. A
lla sua destra c’è il nostro noccioleto, a sinistra dei vigneti. La parte centrale, invece, ha due peculiarità: da una parte è coltivata a grano, dall’altra sono ancora presenti i gelsi che, in passato, servivano per l’allevamento dei bachi da seta. In questo anfiteatro naturale sono rappresentate quattro realtà lavorative dell’epoca.
Dopo le prime riaperture post lockdown, ci siamo ritrovati spesso a frequentare questa zona che si trova vicino al nostro stabilimento. Passavamo molto tempo in quella porzione di terreno. È nata, quindi, la volontà di valorizzare quel luogo e renderlo pubblico e accessibile. Per rendere più attrattivo il “Belvedere di PePÈ” ci siamo affidati all’artista Samuel Di Blasi.
Così è nata questa nocciola gigante che all’esterno è di color nocciola grazie all’acciaio corten, mentre all’interno è sempre mutevole perché riflette i colori della natura che la circonda».
Voi vi occupate anche di packaging. Che cosa ci può dire a riguardo?
«La BeSt Packaging è un’azienda in cui abbiamo una quota di maggioranza relativa. Da un punto di vista di innovazione, è stato un passo molto importante. Nel 2016, ci siamo ritrovati con la possibilità di acquisire un nostro fornitore e nel 2019 ne abbiamo acquisito un altro. Avemmo l’intuizione di vedere il packaging come elemento sempre più fondamentale per la presentazione del nostro prodotto.
Quindi ci portammo in casa un know-how tecnico di quella filiera per poi sviluppare un qualcosa che valorizzasse i nostri prodotti. Commercialmente parlando, uno dei nostri motti è “la prima volta lo acquisto perché mi è piaciuto con gli occhi, la seconda perché mi è piaciuto con la bocca”. Questa gamma così colorata ci sta distinguendo e ci sta dando grande soddisfazione».
Oggi innovazione significa anche sostenibilità. Tra i diversi packaging avete incarti ecologici. Ci racconti di più.
«Per esempio, l’incarto dei nostri tartufi dolci è fatto di carta. Una volta a questo tipo di incarto veniva applicato uno strato di politene, che di fatto è plastica. Negli anni, abbiamo sviluppato una spalmatura con cera vegetale. È un prodotto che abbiamo creato per noi e che adesso è disponibile sul mercato grazie alla BeSt Packaging.
È un incarto più caro, ma ha meno impatti ecologici e performance migliori rispetto al politenato. Siamo riusciti a rendere disponibile sul mercato un prodotto che non solo fa bene all’ambiente, ma anche all’efficienza dei produttori e dei clienti che lo scelgono».